Lo conferma una sentenza del Consiglio di Stato, tranne che nei casi già previsti dalla Legge
Il Consiglio di Stato ha recentemente emesso una sentenza che ha riconfermato, in maniera definitiva, un principio importante riguardante il Permesso di Costruire. Si tratta della sentenza 2366/2018, depositata il 19 aprile. Ma andiamo con ordine e ricordiamo intanto, rapidamente, che cosa si intenda con “Permesso di Costruire”.
PERMESSO DI COSTRUIRE
Si tratta di una autorizzazione amministrativa, rilasciata dal Comune interessato, che concede, in base a quanto stabilito nel piano regolatore, l’inizio di un’attività di trasformazione urbanistica ed edilizia di una determinata parte del territorio, rientrante ovviamente nel Comune presso cui SI è fatta richiesta. Il PdC è regolamentato dal cosiddetto “Testo Unico per l’Edilizia”, ovvero il Decreto del Presidente della Repubblica n° 380 del 6 giugno 2001.
Ovviamente il decreto e le successive modifiche prevedono le condizioni e l’iter per la richiesta e il rilascio del PdC; in particolare, con il Decreto Legge n° 70 del 13-05-2011, si è introdotto, con l’Art. 5, il principio del “silenzio assenso” per il rilascio di tale permesso, “ad eccezione dei casi in cui sussistano vincoli ambientali, paesaggistici e culturali”. Partendo da questo rapido ma esaustivo excursus, passiamo ora alla sentenza in oggetto.
SENTENZA 2366/2018 SUL PERMESSO DI COSTRUIRE
Il fatto si è svolto in Liguria, dove una società aveva richiesto un PdC per costruire un’autorimessa con 40 box auto su più livelli interrati. Il Comune competente aveva rilasciato il permesso, ma con una condizione, cioè che “prima dell’avvio dei lavori…” fosse “acquisita una relazione univoca sulla fattibilità dell’intervento sotto il profilo strutturale concordata con i condomini confinanti”. A fronte di questa condizione prescritta dal Comune, la società costruttrice ha fatto ricorso al Tar, che ha accolto il ricorso e dichiarato “illegittima l’apposizione di una condizione sospensiva che subordina l’efficacia del permesso di costruire ad una successiva analisi della situazione di fatto… finalizzata a precostituire forme di tutela dei terzi in sede di esecuzione dei lavori”. A questo punto è stato il Comune competente a ricorrere in appello presso il Consiglio di Stato, ponendo varie motivazioni, tra cui il fatto che la prescrizione non potesse essere considerata una “conditio sine qua non” del permesso, e che riguardasse non il progetto dal punto di vista architettonico, ma strutturale, e che quindi fosse stata posta a tutela dell’interesse pubblico. Il Consiglio di Stato ha però rigettato queste motivazioni, dando quindi ragione alla società e confermando quanto già espresso dal Tar.
Nello specifico, il PdC prevedeva una prescrizione che, secondo i giudizi del Consiglio di Stato, non rientrava tra le “ipotesi eccezionali per le quali viene ammesso il rilascio condizionato del titolo”. Inoltre, l’aver apposto questa prescrizione si risolveva in un “ingiustificato aggravamento del procedimento, in antitesi ai principi di efficienza ed economicità” previsti dalla Legge. Il Comune, prevedendo anche l’intervento di parti terze, ovvero sia i tecnici che avrebbero dovuto stilare questa relazione di fattibilità, sia i condomini confinanti col terreno in oggetto che avrebbero dovuto esprimere un parere, di fatto “assegna il potere decisorio sulla concreta operatività del permesso a soggetti diversi da essa, finendo sostanzialmente per abdicare all’esercizio della funzione pubblica”.
Questa decisione del Comune inoltre, secondo i giudici di Palazzo Spada, porta l’efficacia del permesso di costruire ad essere rimessa “alla decisione, se non all’arbitrio, di soggetti terzi contro interessati”, ovvero al “consenso dei proprietari confinanti in ordina alla fattibilità dell’intervento”. In definitiva, quindi, il PdC in questione, data l’indicazione del Comune che richiedeva questi interventi prima dell’inizio dei lavori, risulta subordinato “al verificarsi di una condizione, di carattere sospensivo, futura ed incerta” e quindi “inammissibile”.
LA NORMATIVA SUL PERMESSO DI COSTRUIRE
In generale, la sentenza di cui abbiamo sintetizzato l’esito ha confermato in maniera netta e inequivocabile un assunto già previsto negli intenti delle Leggi emanate negli ultimi anni, e stabilito in una precedente sentenza sempre del Consiglio di Stato del 2001, ovvero che “in via di principio, fatti salvi i casi espressamente stabiliti dalla legge, una condizione, sia essa sospensiva o risolutiva, non può essere apposta ad una concessione edilizia, stante la natura di accertamento costitutivo a carattere non negoziale del provvedimento”.
Quindi, una volta verificata la conformità della concessione, questa “deve essere rilasciata dal Comune senza condizioni”. In nessun caso, se non in quelli indicati dai legislatori, il PdC, che è concessione edilizia, può quindi essere subordinato a condizioni e prescrizioni di alcun tipo.