Dal Consiglio di Stato una indicazione sui casi in cui basti la richiesta di un solo proprietario per rendere accettabile la richiesta di sanatoria edilizia
Il Consiglio di Stato è intervenuto di recente in merito ad un contenzioso legato ad una richiesta di sanatoria edilizia presentata solo da uno dei due proprietari dell’immobile in questione. Lo ha fatto con la Sentenza 1766 del 12 marzo 2020.
Il fatto
Due coniugi, comproprietari di un immobile, realizzano in esso un garage che risulta a tutti gli effetti essere abusivo perché i lavori sono stati effettuati senza il permesso a costruire, documento necessario per questo tipo di interventi. Viene quindi presentata, da uno dei due coniugi, la domanda di sanatoria edilizia – il cosiddetto “condono” – presso gli uffici competenti; la richiesta è accettata, quindi l’abuso è sanato ai sensi di legge. Ma un vicino di casa della coppia, che evidentemente ha interesse a che il manufatto inizialmente abusivo sia demolito, presenta ricorso al TAR con cui chiede l’annullamento della sanatoria. Tra le motivazioni alla base della sua istanza, oltre ad una serie di questioni amministrative e burocratiche che in questa sede tralasceremo, c’è anche il fatto che la domanda sia stata presentata solo da uno dei proprietari dell’immobile e non da tutti i proprietari (in questo caso, l’altro coniuge).
Il giudizio del Tar
Il Tribunale Amministrativo Regionale, chiamato a giudicare il ricorso, ha annullato la richiesta di annullamento della domanda di sanatoria. Per quanto concerne la questione che ci interessa principalmente, il TAR sostiene che la domanda di condono è stata presentata dal coniuge comproprietario, responsabile dell’abuso, e quindi considerabile come un soggetto che era totalmente legittimato a presentare la richiesta di sanatoria.
Le decisioni del Consiglio di Stato
Il Consiglio di Stato, chiamato ad intervenire sul nuovo ricorso in appello del vicino di casa, non soddisfatto dall’esito del primo grado, ha però confermato quanto indicato proprio in primo grado dai giudici del TAR. Per quanto riguarda la sola parte che ci interessa, ovvero se e in quali casi la domanda di condono o sanatoria edilizia possa essere presentata anche solo da uno dei proprietari di un immobile, il Consiglio di Stato è giunto alle seguenti conclusioni. Innanzitutto, lo stesso Consiglio, in passato, ha “affermato inequivocabilmente che il soggetto legittimato alla richiesta del titolo abitativo deve essere colui che abbia la totale disponibilità del bene, pertanto l’intera proprietà dello stesso e non solo una parte o quota di esso” mentre, al contrario, non può essere legittimato il proprietario cosiddetto “pro quota”, cioè un comproprietario di un immobile, questo perché “potrebbe pregiudicare i diritti e gli interessi qualificati dei soggetti con cui condivida la propria posizione giuridica sul bene oggetto di provvedimento”. Quindi, di fatto, se si è in presenza di più di un proprietario di uno stesso immobile, la domanda per il rilascio del titolo edilizio, così come quella di sanatoria, deve essere effettuata in maniera congiunta da tutti i comproprietari.
Quando si può derogare a ciò? Ovvero, quando è sufficiente che sia uno dei proprietari a presentare tali richieste, come nel caso in questione? La distinzione operata dal Consiglio di Stato, che abbiamo in parte già indicato, è che possa presentare la domanda “il singolo comproprietario solo ed esclusivamente nel caso in cui la situazione di fatto esistente sul bene consenta di supporre l’esistenza di una sorta di cosiddetto factum fiduciae intercorrente tra i vari comproprietari” mentre è del tutto “illegittimo il titolo abilitativo rilasciato in base alla richiesta di un solo comproprietario, dovendo l’amministrazione verificare la sussistenza, in capo al richiedente stesso, di un titolo idoneo di godimento sull’immobile ed accertare, altresì, la legittimazione soggettiva di quest’ultimo, la quale presuppone il consenso, anche tacito, dell’altro proprietario in regime di comunione”. Ma il Consiglio di Stato precisa che tali indicazioni appena espresse non sono valide ed attuabili per gli immobili in comunione legale tra coniugi, come nel caso in esame. Si ricorda infatti che la comunione di beni non divide il bene in due parti uguali, per cui ognuno dei due coniugi è proprietario del 50% del bene, ma è un istituto giuridico ben diverso che non prevede quote, bensì tutti i soggetti (due nel caso dei coniugi, ma anche più di due in altri casi) sono comproprietari dell’intero bene. Questo rende diverso il concetto di bene in comproprietà (che giuridicamente viene considerato diviso in parti uguali tra tutti i comproprietari) e bene in comunione legale dei coniugi, che viene appunto considerato indivisibile e di cui ognuno dei coniugi è considerato proprietario del bene intero). Proprio questa differenza giuridica è alla base della sentenza con cui il Consiglio di Stato dà ragione al TAR e rigetta il ricorso del vicino. Essendo l’immobile in comunione legale dei coniugi infatti il singolo proprietario non è un proprietario “pro quota” come visto prima, ma possiede “indistintamente” l’intero bene, ed è quindi legittimato a presentare un’istanza di sanatoria che ha, peraltro “effetti favorevoli anche nei confronti del coniuge rimasto inerte”.