Nel determinare l’accesso al bonus Prima casa come si stabilisce la residenza del richiedente, necessaria per verificare che questa sia nello stesso Comune in cui è ubicato l’immobile acquistato?
È la residenza anagrafica, e non quella civilistica, il criterio valido ai fini dell’applicabilità delle agevolazioni fiscali comunemente note come “bonus Prima casa”, in quanto unico elemento certo ed inequivocabile a livello amministrativo. Lo ha stabilito la Corte di Cassazione in una recente ordinanza, la n° 7352, depositata il 17 marzo 2020.
Il fatto e le sentenze in primo grado e in appello
L’Agenzia delle Entrate ha revocato le agevolazioni Prima casa relative ad un contribuente il quale non aveva trasferito la residenza nel Comune dove si trova l’immobile entro 18 mesi dall’acquisto dello stesso, come richiesto dalla normativa. Il contribuente, ricevuti gli avvisi di liquidazione con cui l’Agenzia chiedeva il rimborso delle spese relative alla non applicabilità dei bonus Prima casa, ha presentato ricorso. Sia in primo grado che in appello gli organi competenti hanno dato ragione al contribuente. Nello specifico, in sede d’appello, la Commissione Tributaria Regionale ha sottolineato che l’istante avesse, al momento dell’acquisto, la dimora abituale nel Comune in cui aveva acquistato l’abitazione su cui poi aveva richiesto i benefici fiscali in oggetto. I giudici della CTR hanno considerato la dimora abituale, definita “residenza civilistica”, come requisito sufficiente per far scattare i benefici fiscali, essendo in questo caso la dimora abituale una sorta di “sostituto” della residenza anagrafica. Contro questa decisione l’Agenzia delle Entrate ha presentato ricorso in Cassazione, dichiarando che il contribuente ha violato la norma relativa alle agevolazioni fiscali Prima casa, nello specifico la Tariffa, parte I, articolo 1, allegato a) del Dpr n° 131/1986. L’Agenzia ritiene che i giudici abbiano commesso una valutazione errata quando hanno dichiarato “irrilevante”, ai fini della decadenza dei benefici fiscali, il fatto che il contribuente non abbia trasferito formalmente la residenza anagrafica nel Comune ove è ubicato l’immobile oggetto delle agevolazioni.
La decisione della Cassazione
La Cassazione ha ribaltato la scelta dei giudici della CTR, dando ragione all’Agenzia delle Entrate. Nel farlo, i giudici di Cassazione sono partiti dal dirimere il dubbio se, nel caso delle agevolazioni in oggetto, si debba tenere conto della residenza anagrafica, ovvero quella che risulta dagli atti comunali, oppure della residenza civilistica, ovvero quella indicata nell’Art. 43, comma 2 del Codice Civile nel quale si legge che “la residenza è nel luogo in cui la persona ha la dimora abituale”. La normativa riguardante il bonus Prima casa stabilisce che una delle condizioni per accedervi è che la casa si trovi nel Comune in cui l’acquirente ha la sua residenza o che, in caso contrario, egli la trasferisca in questo Comune entro 18 mesi dall’atto di compravendita relativo all’immobile stesso. L’interpretazione letterale della norma, secondo i giudici della Corte, non lascia adito a dubbi: si parla infatti solo ed esclusivamente del “trasferimento anagrafico della residenza”, essendo questo l’unico atto verificabile, l’unico che l’amministrazione possa controllare presso il Comune interessato. La residenza civilistica e quella di fatto invece non sono dotate della stessa certezza normativa e della stessa incontestabilità. La Cassazione, nell’Ordinanza, indica anche numerosi riferimenti giurisprudenziali dai quali emerge chiaramente il fatto che il mancato trasferimento della residenza nei 18 mesi dall’acquisto della “prima casa” è da considerarsi un inadempimento della legge da parte del contribuente nei confronti dell’erario, e che quindi tale comportamento determini, come conseguenza automatica, la decadenza dei bonus. L’unico caso da considerarsi eccezione è se ci si trova di fronte ad una causa di forza maggiore, ovvero una situazione in cui il mancato trasferimento della residenza sia avvenuto per una causa “caratterizzata dalla non imputabilità al contribuente e dall’inevitabilità ed imprevedibilità dell’evento”, come indicato in una precedente sentenza della Corte. Nello specifico, il fatto che il contribuente abbia dichiarato di non aver spostato la residenza nel Comune perché l’Ufficio Anagrafico del Comune stesso gliel’abbia negata, non è considerabile, secondo i giudici di Cassazione, un caso che possa rientrare tra quelli appena indicati come imprevedibili ed inevitabili e in cui ci sia una causa di forza maggiore non imputabile al contribuente. La sentenza ha quindi obbligato il contribuente a restituire all’erario la differenza tra le imposte ordinarie e quelle agevolate grazie al bonus Prima casa, oltre alla sanzione del 30% sul valore delle imposte stesse e, infine, al pagamento degli interessi di mora.