In caso di incongruenze tra i comportamenti dell’acquirente e la documentazione ufficiale, è quest’ultima a prevalere
Una recente ordinanza della Cassazione, la 10072 del 10 aprile 2019, ha stabilito in via definitiva che, per giustificare il bonus prima casa, si deve dimostrare di risiedere o lavorare nel Comune nel quale si è acquistato l’immobile attraverso la certificazione anagrafica. In questo senso, la Suprema Corte ha ribaltato la precedente sentenza della CTR (Commissione Tributaria Regionale) della Puglia, che, nell’ambito di un ricorso effettuato da una contribuente, aveva invece stabilito che non fosse sufficiente la certificazione da parte del Comune, soprattutto se in presenza di alcuni comportamenti concludenti della contribuente stessa, come ad esempio il cambio di residenza e il pagamento dell’imposta sui rifiuti.
Ma andiamo con ordine e ripercorriamo rapidamente la vicenda, cominciata con la revoca, da parte dell’Agenzia delle Entrate, del cosiddetto “bonus prima casa”, a questa contribuente che aveva trasferito la propria residenza nel Comune in cui era sito l’immobile acquistato con tali agevolazioni oltre i 18 mesi dall’acquisto stesso, termine che risulta essere una delle condizioni necessarie per accedere alle agevolazioni stesse.
La contribuente aveva successivamente impugnato l’avviso di liquidazione ricevuto dall’Agenzia delle Entrate, i giudici di primo grado le avevano davano ragione e anche la Commissione tributarie regionale, in seconda istanza, aveva respinto l’appello dell’Agenzia, dando nuovamente ragione alla contribuente. La CTR, nello specifico, nel motivare le ragioni della sentenza, faceva riferimento al fatto che la contribuente, pur avendo effettuato il cambio di residenza oltre il termine dei 18 mesi, avesse comunque tenuto una serie di comportamenti risolutivi e concludenti rispetto al cambio di residenza stesso. Tra questi atteggiamenti, la Ctr citava il pagamento della tariffa dei rifiuti relativa all’appartamento acquistato con i benefici prima casa. L’Agenzia delle Entrate, nel ricorso in Cassazione, segnalava la violazione e falsa applicazione dell’Art.1, parte I, tariffa allegata al Dpr 131/1986, “dovendosi attribuire rilievo solo alle risultanza anagrafiche ed avendo per contro la CTR dato rilievo ad elementi comprovanti il trasferimento di fatto nel Comune in cui era sito l’immobile”.
La Corte ha accolto il ricorso dell’Agenzia, facendo riferimento ad alcune decisioni prese in passato. Nello specifico, nella sentenza n° 1530/2012, la Corte aveva già specificato che i benefici compresi nel cosiddetto bonus prima casa “spettano unicamente a chi possa dimostrare in base ai dati anagrafici di risiedere o lavorare nel Comune dove ha acquistato l’immobile senza che, a tal fine, possano rilevare la residenza di fatto o altre situazioni contrastanti con le risultanze degli atti dello stato civile”. Inoltre, nella sentenza n° 3713 del 13/02/2017, la Suprema Corte aveva indicato che “il requisito della destinazione del nuovo immobile ad abitazione principale deve intendersi riferito al dato anagrafico e non meramente fattuale” e che quindi tale requisito non possa “desumersi dalla produzione di documenti di spesa” come spese condominiali e utenze “in luogo della certificazione anagrafica”. Infine, in merito alla determinazione della residenza, il fatto che il dato anagrafico prevalga sui comportamenti e i dati di fatto “deve tuttavia tener conto delle unicità del procedimento amministrativo inteso al mutamento dell’iscrizione anagrafica… che, nell’affermare la necessità della saldatura temporale tra cancellazione dall’anagrafe del Comune di precedente iscrizione ed iscrizione in quella del Comune di nuova residenza, stabilisce che la decorrenza è quella della dichiarazione di trasferimento resa dall’interessato nel Comune di nuova residenza”. In questo caso specifico la contribuente non ha potuto o voluto dimostrare che il mancato completamento della procedura di iscrizione anagrafica nel nuovo Comune fosse addebitabile ad altri e non a lei e quindi automaticamente è scattata la regola di cui sopra, ovvero che non sia sufficiente il pagamento della tariffa dei rifiuti al nuovo Comune per considerare completato il cambio di residenza, valendo invece il principio che dà prevalenza al dato anagrafico e non allo stato dei fatti.